Dalle città dell'Impero Romano

alle campagne dell'Età Medioevale

 


 

L'economia agraria di Roma

L'economia di Roma e di parte della penisola italica è stata, nel corso dei secoli, una economia prevalentemente di consumo. Un segno di ciò è, ad esempio, la rovina della piccola proprietà agricola durante la Repubblica (secolo II a.C.). Infatti, una logica volta essenzialmente al consumo dei ceti parassitari spinge al drenaggio verso la capitale e la penisola dei prodotti agricoli delle province colonizzate con l'effetto di abbassare i prezzi (soprattutto quelli dei cereali) a danno dei piccoli coltivatori e a vantaggio del ceto urbano, per lo più improduttivo, della capitale. [1854-1856, Theodor Mommsen]
Vengono inoltre favoriti i proprietari di fondi di una certa estensione in controllo di risorse lavorative che permettono il miglioramento colturale o la riconversione dalla cerealicoltura alla vite e all'ulivo. Si sviluppano perciò latifondi coltivati da schiavi (portati in gran numero dalle nuove colonie come bottino di guerra) e posseduti da un ceto di aristocratici e di arricchiti residenti in città. [1933, Michael Rostovzev]
Il tentativo dei Gracchi di redistribuzione delle terre in vista della rinascita un ceto contadino e le successive confische operate da Silla a favore dei veterani durante l'epoca delle guerre civili non raggiungono l'effetto di intaccare il latifondo. [1933, Michael Rostovzev]
Sicché, durante l'lmpero, le vaste proprietà terriere si rafforzano e i contadini, in parte vengono trasformati in lavoratori agricoli dipendenti, in parte vanno ad ingrossare le file della plebe urbana.


L'urbanizzazione dell'Impero


Durante il periodo Augusteo la penisola italica raggiunge il vertice della supremazia economica e sociale nei confronti delle altre parti dell'lmpero.
La fase successiva vede invece una crescente emancipazione delle province a seguito di un ampio decentramento delle attività economiche.
I successori di Augusto (soprattutto Traiano) favoriscono inoltre l'urbanizzazione dell'Impero come strumento per
- la romanizzazione socio-culturale degli abitanti delle province;
- la formazione di un ceto urbano pronto a sostenere l'imperatore in cambio dell'ottenimento di una posizione privilegiata nei confronti della popolazione rurale.

 


 

Estensione e popolazione delle principali città dell'Impero

 

Estensione [1] Popolazione [1]
Roma 1800 ettari (sec. IV) [2] circa 1 milione
Città fondate dai Romani nella penisola italica
Capua 180 ettari circa 70.000 [4]
Milano 133 ettari circa 50.000
Bologna 83 ettari circa 30.000 [4]
Torino 47 ettari circa 20.000
Verona 45 ettari circa 20.000
Aosta 41 ettari circa 20.000
Città fondate dai Romani nelle province dell'Impero
Leptis Magna 400 ettari circa 100.000
Treviri 285 ettari circa 50.000 [3]
Nîmes 220 ettari circa 70.000 [5]
Vienna 200 ettari circa 60.000 [5]
Londra 140 ettari circa 50.000
Parigi 55 ettari circa 20.000 [5]
Città conquistate dai Romani
Alessandria 900 ettari da 500.000 a 1 milione
Cartagine 300 ettari 200 - 300.000
Costantinopoli 1400 ettari (sec. IV) circa 500.000

Nota: Si calcolano dai 250 ai 500 abitanti per ettaro (fonte: Leonardo Benevolo) nelle città fondate dai Romani.
[1] fonte: Leonardo Benevolo
[2] fonte: Léon Homo
[3] fonte: Pierre Lavedan
[4] dato ottenuto assegnando 350- 400 abitanti per ettaro
[5] dato ottenuto assegnando 300- 350 abitanti per ettaro

 


 

Ma l'urbanizzazione dell'Impero rafforza l'emancipazione delle province e il tutto contribuisce a contrastare sempre di più la supremazia di Roma e della penisola. [1933, Michael Rostovzev]
In questo quadro si colloca anche l'esercito con le funzioni di
- controllare la stabilità delle province;
- respingere eventuali invasioni.
A questi compiti di guardiano verso l'interno e verso l'esterno, si associa il ruolo (comune con la burocrazia imperiale) di consumatore-dissipatore di ingenti risorse. Ciò fa sì che l'attività economica delle province risulti stimolata (sussistendo ancora notevoli difficoltà nei trasporti per via terra) oltre che dal formarsi di un mercato locale costituito dai centri urbani, anche dalla necessità di provvedere ai bisogni degli eserciti colà stanziati.


Roma e le province dell'Impero

Il centro di gravità, sotto il profilo economico-produttivo, si sposta dunque dalla penisola italica alle province orientali (Asia minore) e settentrionali (Gallia, Germania) dell'Impero. A ciò corrisponde un accentuarsi della funzione di mero centro di consumo di Roma.
La capitale si espande e, potendo contare sul sovrappiù prodotto dalle campagne [1776, Adam Smith], incrementa la sua popolazione che raggiunge circa l milione di abitanti; di questi, oltre 200mila vivono di sussidi in denaro e in natura (distribuzioni periodiche di grano, olio, vino) da parte dello Stato e della Municipalità romana. [1952, Pierre Lavedan e Jeanne Hugueney]
La città è campo di una fiorente speculazione edilizia che crea nuovi ricchi e nuove schiere di clienti al loro seguito. [1961, Lewis Mumford]
Opulenza e miseria sono visivamente percepibili nel contrasto tra le splendide abitazioni dei patrizi e i lotti (insulae) di alloggi della plebe romana, sovraffollati, sporchi, affittati a prezzi elevati da un ceto affaristico-speculativo formato da proprietari terrieri, commercianti, usurai, esattori di imposte. [1975, Leonardo Benevolo]


Lo sfruttamento delle Province dell'Impero

Il legame che unisce l'economia speculativo-parassitaria di Roma a quella produttiva delle province è costituito da una politica economica predatoria nei confronti delle campagne dell'Impero.
Il saccheggio delle Province è messo in atto attraverso l'esercito (funzione di controllo) e la burocrazia imperiale (funzione di riscossione) formata, quest'ultima, dall'aristocrazia urbana delle province stesse la quale trova, in questo modo, un'altra fonte di arricchimento.
Questi due soggetti (esercito e burocrazia) costituiscono, come già detto, un enorme canale di spreco senza che vi sia, come durante la formazione dell'Impero, una valvola di sfogo rappresentata dalla conquista di nuovi e ricchi territori. L'espansione imperiale si arresta mentre il parassitismo si allarga.

Lo sfruttamento sistematico delle province si esplica attraverso due fasi: la metropoli (Roma) sfrutta le campagne (colonie) attraverso l'intermediazione delle città dell'lmpero, tutte, in varia misura, subalterne al centro.
In ogni provincia, infatti, si ripropongono gli stessi meccanismi di soggiogamento delle campagne alle città. I contadini, che costituiscono la maggior parte della popolazione dell'Impero e il sostrato produttivo di ogni provincia [1933, Michael Rostovzev], vengono sfruttati da una aristocrazia di proprietari terrieri, per lo più inurbati, che spartiscono con il centro urbano dominante (Roma) l'ammontare dei prodotti loro estorti.

Durante il tardo-impero questa scissione campagna/città è, più specificatamente, deprivazione della campagna per quanto concerne i seguenti aspetti:
economico-sociali. Come già visto, la città è essenzialmente luogo di divertimento e di consumo parassitario del sovrappiù estorto alla campagna che funziona da centro di lavoro e di produzione.
culturali. Nella città si trovano scuole, ginnasi, teatri, biblioteche, e circolano la cultura e gli idiomi della civiltà greco-latina. [1933, Michael Rostovzev]
Nelle campagne invece, assieme alla mancanza di ogni sorta di struttura educativa in senso lato, si stabilisce una specie di isolamento di gruppo all'interno di un idioma locale.
politico-giuridici. Oltre al divario di diritti legali (status giuridico) fra città e campagna, il fatto più importante è che il ceto dirigente dell'Impero emerge dalle città che forniscono anche l'apparato burocratico centrale e periferico. Dalle campagne si reclutano solo le schiere dei soldati e questo fatto introdurrà un elemento importante nelle lotte politico-sociali del secolo III.


Il tardo-impero

Nel secolo II d.C. l'organizzazione agricola della penisola italica subisce notevoli cambiamenti.
La concorrenza delle province, il lavoro a bassa produttività degli schiavi (che peraltro iniziano a scarseggiare), l'assenteismo dei proprietari impegnati a Roma nelle contese politiche e nel consumo parassitario, tutto ciò spinge a mutamenti nei rapporti di produzione. [1891, Max Weber]
Per supplire innanzitutto alla carenza di lavoratori, i proprietari italici cercano di formare una rete di affittuari (coloni), provenienti in taluni casi dalle file degli schiavi (semi -coloni), attraverso i quali riuscire ad assicurarsi una rendita certa anche se non elevata. [1891, Max Weber]
Tali affittuari, privi di strumenti di lavoro e di capi di bestiame, vengono per lo più legati alla terra e a talune prestazioni lavorative gratuite attraverso debiti da loro contratti con il padrone. [1953, Sergej Ivanovic Kovaliov]
Prende piede e si diffonde così quel vincolo signore-colono-terra che avrà la sua consacrazione durante il periodo feudale.

La necessità di una rapina continuata e di sempre più vaste proporzioni, e l'esigenza di acquistarsi e conservarsi le simpatie dell'esercito, formato in prevalenza da contadini delle province, porta alcuni imperatori (Settimio Severo, Massimino) a rivolgere le loro mire predatorie nei confronti delle città. [1939, Storia Antica della Università di Cambridge]
Le tassazioni dirette e indirette, le confische, le esazioni straordinarie sono le manifestazioni di un accresciuto dispotismo centrale bisognoso di risorse per perpetuarsi e che, per questo motivo passa, attraverso l'esercito, allo sfruttamento diretto delle città.
A partire dal secolo III d.C. si verifica un ritorno in campagna dei proprietari terrieri che cercano di sfuggire alla fiscalità imperiale e al progressivo disfacimento delle città.
Inoltre, il commercio inizia a ristagnare per l'insicurezza delle vie di terra e di mare e per la mancanza di un mezzo di scambio sicuro (deprezzamento della moneta).
Anche le masse urbane si spostano sempre più numerose verso le campagne, e ciò che le spinge è soprattutto la ricerca di opportunità di sostentamento. Roma soprattutto e emblematica di questa situazione. Rompendosi il rapporto di assoggettamento delle campagne dell'Impero a Roma, la popolazione della capitale è costretta a provvedersi direttamente del necessario per vivere.

Assistiamo perciò al moltiplicarsi delle "villae", centri di vita socio-economica alle dipendenze di un signore. Infatti, oltre alla produzione agricola e, parallelamente alla decadenza dei commerci, le villae diventano una struttura autosufficiente con produzioni artigianali di varia natura (strumenti di lavoro e di uso domestico). Le villae inoltre contribuiscono (come causa ed effetto al tempo stesso) al venir meno del potere centrale e di quello delle municipalità assumendo funzioni giuridiche, fiscali e di protezione. Sono, anche queste, le prime forme di quell'organizzazione feudale della società che troveranno la loro piena manifestazione alcuni secoli più tardi.


Il crollo dell'Impero e la fuga verso le campagne

Alla base della lotta politica del secolo III vi è dunque l'esplodere del contrasto fra città e campagna per la ripartizione degli oneri fiscali che alimentano la macchina (burocratica e militare) dell'Impero e, più in generale, la volontà rabbiosa delle campagne (espressa dalle masse dei soldati) di sottrarsi al dominio dei ceti urbani. 

Da questa violenta opposizione, che si complica con gli assalti e le distruzioni provenienti dall'esterno, l'Impero ne esce distrutto. Il dissanguamento delle province riduce il flusso di beni che affluiscono al centro e vi provoca una decadenza di proporzioni superiori a quelle della periferia. Il centro, che si regge sull'incetta di beni mediata dalle città dell'lmpero, deperisce non appena questi anelli intermedi, esausti, non riescono più ad assolvere il loro compito di drenare risorse verso la capitale. Il declino e l'abbandono di Roma testimoniano la fine di un'epoca.

Non è il saccheggio delle città da parte dei barbari che spinge nelle campagne a cercarvi rifugio ma la fine del saccheggio delle città nei confronti delle campagne che rende indispensabile un ritorno diretto alla terra, strumento di mantenimento vitale (economia di conservazione). Quasi dappertutto in occidente, pur con tempi e vicende differenti, la vita urbana decade e inizia l'esodo verso le campagne.

 


 

Riferimenti

[1776] Adam Smith, The Wealth of Nations, Penguin, Harmondsworth, 1970, (Book III)

[1854-1856] Theodor Mommsen, Storia di Roma Antica, Sansoni, Firenze, 1972, (Libro III, Cap XII. Economia rurale e dei capitali)

[1891] Max Weber, Storia agraria romana, il Saggiatore, Milano, 1968, (Cap. IV. L'economia agraria e le grandi aziende padronali dell'età imperiale)

[1933] Michael Rostovzev, Storia economica e sociale dell'Impero Romano, La Nuova Italia, Firenze, 1976

[1939] Storia Antica della Università di Cambridge, Volume XII : La crisi 193-324 d.C., il Saggiatore, Milano, 1970, (F. Oertel, La vita economica dell'Impero), (R. G. Collingwood, La Britannia)

[1951] Léon Homo, Rome Inpériale et l'Urbanisme dans l'Antiquité, Paris

[1952] Pierre Lavedan e Jeanne Hugueney, Histoire de l'urbanisme, Henri Laurens ed., Paris, (Vol. I. Antichità, Parte quarta: L'urbanesimo romano)

[1953] Sergej Ivanovic Kovaliov, Storia di Roma, Editori Riuniti, Roma, 1968, (Vol II, Cap. VIII. Economia e rapporti sociali nel I e II secolo)

[1961] Lewis Mumford, La città nella storia, Bompiani, Milano, 1977, (Cap. VIII Megalopoli diventa necropoli)

[1975] Leonardo Benevolo, Storia della città, Laterza, Bari, 1975, (Cap. III: Roma: La città e l'Impero)

 


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