La divisione campagna/città
nel pensiero di Marx e Engels

 


 

Premessa

Nell'Ideologia Tedesca, (sezione Feuerbach) Marx ed Engels affermano che

"la più grande divisione del lavoro materiale e intellettuale è la separazione di città e campagna". (3)

"L'antagonismo tra città e campagna comincia con il passaggio della barbarie alla civiltà, dall'organizzazione in tribù allo Stato, dalla località alla nazione, e si protrae attraverso tutta la storia della civiltà fino ai giorni nostri". (3)

Nel rapido profilo che Marx ed Engels tracciano nell'Ideologia Tedesca del succedersi delle fasi storiche, essi affermano che

"mentre l'antichità moveva dalla città e della sua piccola cerchia, il Medioevo muoveva dalla campagna". (3)

Come residuo, si potrebbe dire, di questa situazione, appare la posiziono dei fisiocratici che inquadravano i concetti di ricchezza e lavoro nell'ambito dell'agricoltura.

Solo successivamente

"viene dimostrato alla dottrina fisiocratica come l'agricoltura dal punto di vista economico . . . non si distingua da nessun’altra industria, e quindi come essa non sia un lavoro determinato, una manifestazione di lavoro particolare, legata ad un particolare elemento, ma come il lavoro in generale sia l'essenza della ricchezza". (1)

Il lavoro di cui si tratta è, nel caso specifico, il lavoro nell'industria capitalistica, cioè dotata di macchinari essendo le macchine il vero capitale. Nella forma di produzione capitalistica, il lavoro risulta diviso tra:

- manuale e intellettuale
- settore e settore
- momento e momento lavorativo (parcellizzazione dei compiti)

Come affermano Marx ed Engels,

"la divisione del lavoro all'interno di una nazione porta con sé innanzi tutto la separazione del lavoro industriale e commerciale dal lavoro agricolo e con ciò la separazione tra città e campagna e il contrasto del loro interessi". (3)

 

La campagna e la rivoluzione agraria

Il sorgere di questo contrasto (nell'ambito del modo di produzione capitalistico) passa attraverso la fase della rivoluzione agraria cioè̀ di quel fenomeno che, concentrando il possesso delle terre, incrementando la produttività̀ ed espellendo dalle campagne masse enormi di lavoratori, fornisce le basi per l'accumulazione originaria del capitale e per la disponibilità̀ di forza-lavoro,

Nell'ultima parte del libro Primo del Capitale, Marx parla appunto di questo processo e afferma:

"Nella storia dell'accumulazione originaria fanno epoca dal punto di vista storico tutti i rivolgimenti che servono di leva alla classe dei capitalisti in formazione; ma soprattutto i momenti nei quali grandi masse di lavoratori vengono staccate improvvisamente e con la forza dai loro mezzi di sussistenza e gettate sul mercato del lavoro come proletariato privo di qualsiasi tutela normativa
L'espropriazione dei produttori rurali, dei contadini o la loro espulsione dalle terre costituisco il fondamento di tutto il processo". (5)

Nel corso del XVIII e nei primi anni del XIX secolo, con la recinzione delle terre (enclosures), si ha il passaggio da una proprietà e da un uso comuno (diritto di pascolo, diritto di legnatico), ad un regime privatistico che concerne appezzamenti agricoli sempre più vasti.

Per Marx, il bill of enclosures of commons, viene ad essere:

"la forma parlamentare del furto" in quanto sono "decreti per mezzo dei quali i signori dei fondi regalano a sè stessi, come proprietà̀ privata, terra del popolo". (5)

Ma questo furto colossale è la strada che permette il passaggio da una produzione agricola di autosussistenza per la comunità circostante, ad una produzione anche per il mercato.

Con la recinzione dei fondi e l'ampliamento delle dimensioni degli appezzamenti, si introducono e si generalizzano miglioramenti nelle tecniche agrarie quali la rotazione delle colture, l'utilizzo di fertilizzanti, l'introduzione di strumenti più perfezionati.

Questo vasto fenomeno di passaggio dal vecchio assenteismo di tipo feudale ad una organizzazione capitalistica di sfruttamento delle terre ha l'effetto di incrementare la produttività e liberare una massa enorme di popolazione contadina per i bisogni lavorativi della nascente industria.

“Se la terra capita in mano a pochi grossi fittavoli, i piccoli fittavoli vengono trasformati in gente che deve guadagnare la propria sussistenza lavorando per altri e che è costretta a rivolgersi al mercato per tutte le cose di cui ha bisogno ... Cresceranno città e manifatture, perché viene spinta nelle città più gente che cerca occupazione". (dott. Price - 5)

 

La città e la rivoluzione industriale

Lo sviluppo dell'impresa capitalistica, dalle sue forme più semplici (cooperazione, manifattura) a quelle più complesse (grande industria), va di pari passo con l'ingigantirsi delle città.

“Il grande stabilimento industriale richiede molti operai, che lavorano assieme in un solo edificio; essi debbono abitare insieme e, là dove sorge una fabbrica di una certa grandezza, formano già un villaggio.
Essi hanno dei bisogni, per soddisfare i quali sono necessarie altre persone; artigiani, sarti, calzolai, fornai, muratori e falegnami vi accorrono”. “Così dal villaggio nasce una piccola città̀, dalla piccola città una grande città”. (2)

A meglio completare il quadro, Marx ed Engels affermano che

"l'esistenza della città implica immediatamente la necessità dell'amministrazione, della polizia, delle imposte, in una parola dell'organizzazione comunale, e quindi della politica in genere. Apparve qui per la prima volta la divisione della popolazione in due grandi classi, che à fondata direttamente sulla divisione del lavoro e degli strumenti di produzione. La città è già il fatto della concentrazione della popolazione, degli strumenti di produzione, del capitale, dei godimenti e dei bisogni, mentre la campagna fa apparire proprio il fatto opposto, l'isolamento e la separazione". (3)

In definitiva

"la borghesia ha assoggettato la campagna al dominio della città. Ha creato città enormi, ha grandemente accresciuto la popolazione urbana in confronto con quella rurale, e così ha strappato una parte notevole della popolazione all'idiotismo della vita rustica". (4)

Ma se la rivoluzione agraria e quella industriale, opera della classe borghese, emancipano le masse rurali dall'idiotismo a dall'isolamento, tuttavia, accanto a nuove potenzialità e tensioni verso il superamento dell'idiotismo tout court, portano a instaurare nuove contraddizioni e limitazioni. A questo riguardo, la divisione città̀/campagna è, accanto e in connessione alla divisione manuale/intellettuale, l'emblema massimo del progresso della civiltà borghese e, al tempo stesso, della sua barbarie. Più in particolare, nell'ambito di questa scissione, la città viene ad essere luogo di addensamento di masse proletarie in condizioni disumane di esistenza.

Nello stesso periodo (1844-1845) Marx nei Manoscritti economico-filosofici ed Engels ne La situazione della classe operaia in Inghilterra, trattano, in misura più o meno ampia, delle condizioni del proletariato urbano.

Nei Manoscritti leggiamo:

"Lo stesso bisogno dell'aria aperta cessa di essere un bisogno nell'operaio; l’individuo ritorna ad abitare nelle caverne, la cui aria però è ormai viziata dal mefitico alito pestilenziale della civiltà, e ove egli abita ormai soltanto a titolo precario, rappresentando esse per lui ormai una potenza estranea che può essergli sottratta ogni giorno e da cui ogni giorno può essere cacciato se non paga. La casa luminosa che, in Eschilo, Prometeo addita come uno dei grandi doni con cui ha trasformato i selvaggi in uomini, non esiste più per l'operaio.
La luce, l’aria, ecc., la più elementare pulizia, di cui anche gli animali godono, cessa di essere un bisogno per l'individuo. La sporcizia, questo impantanarsi e putrefarsi dell'essere umano, la fogna (in senso letterale) della civiltà̀, diventa per l'operaio un elemento vitale". (1)

"L'individuo non solo non ha più bisogni umani, ma in lui anche i bisogni animali vengono meno. L'irlandese conosce soltanto il bisogno di mangiare, o meglio ancora, soltanto il bisogno di mangiare patate, o meglio ancora soltanto il bisogno di mangiare le patate della qualità più scadente.
Ma l'Inghilterra e la Francia possiedono già in ogni città industriale la loro piccola Irlanda". (1)

Ed Engels, in maniera più dettagliata, nel capitolo su "Le grandi città", parlando del quartiere St. Giles a Londra, afferma:

"Le case sono abitate dalle cantine fin sotto i tetti, sporche di dentro e di fuori, ed hanno un aspetto tale che nessuno vorrebbe viverci. Ma questo è ancora niente di fronte alle abitazioni negli angusti cortili e noi vicoli tra una strada e l'altra, in cui si entra attraverso passaggi coperti tra le case, e dove la sporcizia e la rovina superano ogni immaginazione: qui è difficile trovare un vetro intatto, le mura sono sbriciolate, gli stipiti delle porte e le intelaiature delle finestre spezzati e sgangherati, lo porte sono formate da vecchie tavole inchiodate insieme o non vi sono affatto; in questo quartiere di ladri non sono necessarie le porte poiché non vi è nulla da rubare. Dappertutto sono sparsi mucchi di immondizia e di cenere, e l'acqua sporca gettata dinanzi alla porta si raccoglie in pozzanghere puzzolenti.
Qui abitano i più poveri tra i poveri, gli operai peggio pagati, insieme con ladri, furfanti e vittime della prostituzione in un miscuglio eterogeneo". (2)

Riferendosi alle case della vecchia Manchester, Engels afferma:

"soltanto l'industria consente ai proprietari di queste stalle di darle come abitazioni ad esseri umani, facendo loro pagare affitti elevati, di sfruttare la miseria degli operai, di minare la salute di migliaia di persone, affinché essi soltanto si arricchiscano; soltanto l'industria ha reso possibile che il lavoratore, solo da poco liberato dalla servità della gleba, potesse nuovamente essere adoperato come puro e semplice materiale, come cosa, che egli dovesse lasciarsi rinchiudere in un'abitazione che sarebbe troppo misera per chiunque altro e che egli, data la sua scarsità di denaro, ha ora il diritto di lasciar andare completamento in rovina. Tutto ciò è opera soltanto dell'industria, che senza questi operai, senza la miseria e la schiavitù di questi operai, non avrebbe potuto esistere". (2)

Inoltre, nel "brulicare umano" della città̀, l'isolamento si ripropone, non più come condizione oggettiva, come nella vita rurale, ma come norma di vita 'sociale'.

"La brutale indifferenza, l'insensibile isolamento di ciascuno nel suo interesse personale emerge in nodo tanto più ripugnante ed offensivo, quanto maggiore è il numero di questi singoli individui che sono ammassati in uno spazio ristretto; e anche se sappiamo che questo isolamento del singolo, questo angusto egoismo è dappertutto il principio fondamentale della nostra odierna società, pure in nessun luogo esso si rivela in modo così sfrontato e aperto, così consapevole come qui, nella calca delle grande città. La decomposizione dell'umanità in monadi, ciascuna delle quali ha un principio di vita particolare ed uno scopo particolare, il mondo dogli atomi, sono stati portati qui alle sue estreme conseguenze". (2)

Infine, la borghesia opera nel tessuto urbano una divisione fra zona e zona, differenziandole nella quantità e qualità dei servizi, a seconda della classe sociale che vi abita.
Parlando ancora di Manchester, Engels afferma,

"La città stessa è costruita in modo singolare e si potrebbe abitarvi per anni e entrarvi e uscirne ogni giorno senza mai venire a contatto con un quartiere operaio o anche soltanto con operai, almeno fino a quando ci si limitasse a seguire i propri affari o ad andare a passeggio.
E ciò deriva principalmente dal fatto che, per un tacito, inconsapevole accordo, come pure per una consapevole ed espressa intenzione, i quartieri operai sono nettamente separati dal quartieri destinati alla classe media, oppure, dove ciò non è possibile, sono stati coperti con il manto della carità̀". (2)

 

Alcune contraddizioni

Ma, accanto ad una condizione urbana che à distruzione dell'umano, vi è, come portato contraddittorio dello sviluppo del modo di produzione capitalistico, la costruzione di tutta una serie di tendenze e di potenzialità che, se fatte proprie e padroneggiate dai lavoratori, porterebbero all'annullamento dell'annullamento, cioè alla liberazione degli stessi lavoratori.

È necessario allora vedere che ruolo positivo ha o può avere la città per la costruzione di questo processo di liberazione e perché, arrivati ad un certo livello di sviluppo storico, il processo rivoluzionario di liberazione è inscindibile dalla ricomposizione tra città e campagna.

La città̀, se è luogo di ammassamento brutale del proletariato, proprio per questa sua funzione, meglio si presta alla formazione di movimenti organizzati (trade unions) di difesa contro lo sfruttamento della società̀ borghese e alla nascita di partiti operai. Nelle campagne invece, l’assenza di organizzazione porta solo a brevi rivolte (come improvvise rotture dell'isolamento) piuttosto che strutture e movimenti compatti e coordinati.

Inoltre, la città può offrire una pluralità di possibilità in termini di servizi (abitazioni confortevoli, strutture culturali e ricreative, trasporti, assistenza sanitaria, ecc.)
in una misura che in campagna, per le generalmente ridotte dimensioni dei centri agricoli, non sarebbe sempre possibile.

Ma, cosa si verifica in realtà?
Da una parte, la concentrazione urbana sfocia anche nell'isolamento e nella incomunicabilità, dall'altra, l'usufruire della opportunità urbane a cui sopra si accennava, resta più una potenzialità che non una realtà per i lavoratori.

E questo perché si à passati dall'idiozia rurale alla alienazione urbana, caratterizzata da:

- espropriazione dell'autonomia
- creazione di falsi valori
- opposizione tra l’individuo e la società dominata dallo stato.

Tutto ciò ha, nella città, conseguenze a livello soggettivo e oggettivo. A livello soggettivo conduce alla rivolta degli operai, che trova nelle strade il suo scenario, rivolta che, in primo luogo, è volontà di riappropriazione di opportunità̀ urbane prospettate ma non godute; in secondo luogo, è tentativo di riappropriazione di spazi di autogestione.

A livello oggettivo, i fenomeni sopra enumerati, portano la città capitalista, con il suo massiccio consumo-spreco di risorse, ad essere l'emblema della degradazione del territorio e della distruzione della natura.

E accanto all'ipersviluppo squilibrato e folle delle mega-città, con costi economico-sociali in termini di ammasso di insediamenti e di vivibilità̀ vera o propria, abbiamo nelle campagne abbandono a sottooccupazione. La campagna diventa sempre più per la classe dominante

- luogo di saccheggio
- fittizia oasi di pase
- sacca di sottoccupazione

Perciò, il rapporto ipersviluppo-sottosviluppo, di cui città e campagna sono genericamente il simbolo (rapporto, a livello mondiale, fra Stati imperialisti e periferia), rappresenta una costante funzionale di una organizzazione sociale padronale.

 

Il superamento della divisione campagna/città

Questa organizzazione si basa sull'intreccio divisione del lavoro-divisione del territorio. Infatti, l’antagonismo città/campagna

"è la più crassa espressione della sussunzione dell'individuo sotto la divisione del lavoro, sotto una determinata attività che gli viene imposta, sussunzione che fa dell'uno il limitato animale cittadino, dell'altro il limitato animale campagnolo, e che rinnova continuamento l'antagonismo fra i loro interessi". (3)

Ed Engels, nell'Antidühring afferma:

"La prima grande divisione del lavoro, la separazione di città e campagna, ha immediatamente condannato la popolazione rurale all'istupidimento per migliaia di anni e i cittadini all'asservimento di ogni individuo al proprio mestiere individuale. Essa ha distrutto le basi dello sviluppo spirituale degli uni e dello sviluppo fisico degli altri. Se il contadino si appropria il suolo e il cittadino si appropria il suo mestiere, nella stessa misura il suolo si appropria il contadino e il mestiere si appropria l'artigiano. Essendo diviso il lavoro, anche l'essere umano è diviso". (6)

In complesso, l'effetto indotto dalla scissione città/campagna è definibile, in maniera sintetica, come una rottura del rapporto essere umano-natura e una progressiva degradazione di queste due realtà.
Per cui, mentre la società̀ socialista

"è l'unità essenziale, giunta al proprio compimento, dell'essere umano con la natura, la vera resurrezione della natura, il naturalismo compiuto dell’essere umano e l'umanismo compiuto della natura" (1)

la società̀ borghese riduce l'individuo e la natura a merci, a valori di scambio, perché l'annullamento della reale essenza di entrambi è mezzo per l'esistenza e l'allargamento della sfera di dominio del modo di produzione capitalistico.

Ma, se per tutta una fase storica la borghesia è classe rivoluzionaria, e quindi l'allargamento della sua sfera di dominio ha una funzione progressiva, arrivati a un certo grado di sviluppo delle forze produttive, o tali forze sono ricondotte a un piano elaborato e dominato dagli esseri umani nella loro globalità̀, oppure vengono distrutte in misura crescente dalla barbarie del tardo-capitalismo.

Nell'ambito della divisione città/campagna (come pure in quello della divisione manuale/intellettuale) siano arrivati ormai a livelli tali di spreco e di distruzione delle forze produttive che si può affermare che

"solo con la fusione di città e campagna può̀ essere eliminato l'attuale avvelenamento di acqua, aria e suolo, solo con questa fusione le masse che oggi agonizzano nelle città saranno messe in condizione in cui i loro rifiuti siano adoperati per produrre le piante e non le malattie". (6)

"Conseguentemente l a soppressione dell'antagonismo di città e campagna non solo è possibile, ma è diventata una diretta necessità̀ della stessa produzione industriale, così come è diventata del pari una necessità della produzione agricola ed inoltre dell'igiene pubblica". (6)

"La soppressione della separazione tra città e campagna non è, dunque, un'utopia neanche sotto l'aspetto per cui essa ha come sua condizione la distribuzione più omogenea possibile della grande industria su tutto il paese". (6)

In base a tutto ciò è chiaro che

"l'abolizione dell'antagonismo fra città e campagna è una delle prime condizioni della comunità̀". (3)

Tale comunità reale, opposta a quella fittizia della società borghese, porta a ri-equilibrare lo spazio, rompendo il diaframma città/campagna.

Inoltre, come causa e come affetto della nuova comunità, tale ricomposizione porebbe generare:

- la soppressione dello spreco e della distruzione delle risorse umane e materiali;
- la minimizzazione dei costi di insediamento (superamento dei congestionamenti urbani)
- la meccanizzazione e automazione delle attività agricole (eliminazione della faticosità del lavoro rurale)
- il superamento della divisione tra settori produttivi (agricoltura-industria-servizi) e l'alternanza nell'effettuazione delle attività;
- la possibilità̀ per tutti gli abitanti (di qualsiasi punto del territorio) di fruire di condizioni che rendano massimo il loro sviluppo culturale e fisico;
- la messa in luce e la valorizzazione della funzione estetica.

L'insieme rural-urbano così prodotto, nuovo spazio in cui si esplicano o si articolano le interconnesse funzioni dell'esistenza (lavoro, studio, creazione artistica, sviluppo fisico, ecc.) non può non associarsi alla formazione di nuove personalità, e il tutto rimanda alla costruzione di un diverso rapporto tra gli esseri umani e tra gli esseri umani e la natura.

Ed è ciò che il processo rivoluzionario va a proporsi, in maniera sempre più cosciente e crescente, a livello di singoli e a livello di comunità.

 


 

Riferimenti Bibliografici

(1) Karl Маrх, Manoscritti economico-filosofici del 1844, 1844

(2) Friederich Engels La situazione della classe operaia in Inghilterra, 1845

(3) Karl Marx-Friederich Engels, L'ideologia tedesca, 1845

(4) Karl Mаrх-Friederich Engels, Manifesto del partito comunista, 1848

(5) Karl Marx, Il Capitale, volume I, 1867

(6) Friederich Engels, Antidhüring, 1878

 


[Home] [Top]