Campagne e città nell'Alto Medioevo (sec. V - X)

 


 

Migrazioni e nuova organizzazione dello spazio

I secoli che vedono la decomposizione dell'Impero romano d'occidente rappresentano un periodo di intense migrazioni di genti che provengono in prevalenza dall'est. La causa di questi spostamenti è da ricercarsi soprattutto nella volontà, non più contrastata da barriere militari o da vincoli di inferiorità bellica, di migliorare il rapporto uomo/terra sia sotto il profilo quantitativo (appropriazione di nuovi e più vasti territori per i bisogni di una agricoltura estensiva e di un allevamento ancora in parte nomade) sia sotto quello qualitativo (terreni più fertili, in alcuni casi già bonificati e messi a coltura). [1967, Clifford T. Smith]

L'organizzazione economica dello spazio terrestre che emerge in Occidente dal progressivo deperimento del mondo tardo-romano e dal generale rimodellamento (demografico, etnico, linguistico, ecc.) conseguente alle migrazioni, conserva impronte del passato accanto a caratteri propri delle nuove popolazioni insediatesi all'interno dell'Impero. Sicché è possibile operare una ripartizione del mondo occidentale in due tipologie socio-economiche alla cui base v'è una distinta natura (economica e giuridica) attribuita al fattore terra.

1) La villa
Centro di produzione (agricola e artigianale) e di vita associata, la villa è espressione della volontà di conservazione dei popoli della penisola italica e della Gallia meridionale sconvolti dal disfacimento della società romana. Sotto il profilo economico-produttivo la villa risulta scomponibile in due parti:
a) la "pars dominica", vasta proprietà padronale costituita da campi coltivati, pascoli e boschi per il cui sfruttamento viene utilizzato il lavoro dei servi;
b) la "pars massiricia", formata da piccoli appezzamenti di terreno concessi, dietro riscossione di un canone in natura, a coloni legati alla terra (adscripti glebae).

Accanto alle ville padronali trova spazio anche la proprietà privata di liberi contadini che dalla coltivazione del loro fondo traggono il sostentamento vitale.

2) La marca
Di origine molto remota, la marca, sorta di comunità di villaggio con proprietà collettiva della terra, è l'organizzazione primitiva dei popoli dell'Europa nord-orientale (i Germani). [1928-1929, Joseph M. Kulischer]
Nel corso dei secoli, con il passaggio dall'allevamento nomade a quello stazionario e con una sempre più ampia messa a coltura dei terreni, l'originaria proprietà collettiva, pur rimanendo preminente, subisce alcune restrizioni. [1892, Friedrich Engels]
In seguito a ciò lo spazio della comunità di marca risulta ripartito in due porzioni:

a) gli "orti", terreni situati attorno alle abitazioni e divenuti di proprietà esclusiva delle famiglie;

b) le "terre comuni", di proprietà della marca, distinte secondo il possesso (esclusivo o collettivo) in
- terre seminative, divise in lotti (hufe) e concessi in sorte agli abitanti della comunità per la coltivazione e il godimento dei raccolti da parte delle singole famiglie;
- terre boschive e prative, costituenti lo spazio dominante, formate da foreste, pascoli, campi incolti, corsi d'acqua, ecc. di uso comune.


La struttura economico-sociale nelle campagne

Le differenze nella natura proprietaria dello spazio terrestre, con il predominio della proprietà personale nella villa padronale e di quella collettiva nella comunità di marca, sembrano riconducibili soprattutto alla diversa destinazione d'uso del suolo: prevalere delle coltivazioni agricole (vite, cereali) nella penisola italica e nella Gallia rispetto al prevalere dell'allevamento (carne, latte, formaggio) nelle terre dei Germani.
Questo dualismo agricoltura-allevamento, più marcato al sud che non al nord, è, assieme alla primitività degli attrezzi e delle tecniche, causa non irrilevante delle basse rese agricole di un terreno scarsamente fertilizzato dai residui organici animali. Per cui la denutrizione è generalizzata tra le masse contadine e non si può certo affermare che alla decadenza delle città faccia da contrappeso uno sviluppo florido delle campagne.

La ruralizzazione che coinvolge anche lo spazio urbano, con la presenza al suo interno di orti, stalle, terreni abbandonati, acquitrini, rappresenta sì un predominio schiacciante dell'ambiente rurale su quello urbano che deriva però unicamente da motivi di conservazione vitale senza che si configuri come dominazione economico-politica delle campagne sulle città. [1950, Roger Grand e Raymond Delatouche]
È più esatto affermare che, durante alcuni secoli, le strutture e i rapporti di dominazione-subordinazione si trasferiscono, in prevalenza, nelle campagne svolgendosi tra proprietari terrieri (di cui fa parte anche il Vescovo residente nella civitas) e contadini dipendenti; il tutto nell'ambito di una economia domestica sostanzialmente autosufficiente in cui il livello primitivo degli attrezzi e delle tecniche impedisce la produzione costante di un sovrappiù.
Il dominio è perciò rivolto alla appropriazione d i beni di consumo prodotti attraverso prestazioni lavorative a cui è soggetto il ceto rurale dipendente (servi e coloni).

Questo schema di rapporti economico-sociali valido per la villa padronale si adatta ben presto anche alla comunità di marca dove il possesso dei lotti seminativi si trasforma in proprietà ereditaria e dove emergono sempre più squilibri nel dominio terriero a cui si legano livelli differenziati di potere sugli uomini. [1892, Friedrich Engels]
Si assiste così ad una omogeneizzazione culturale, politica ed economica che si compie attraverso la penetrazione della Chiesa cattolica tra le popolazioni germaniche, a cui fa seguito l'espansionismo dei Franchi sotto i Carolingi.
Si assiste quindi al diffondersi di una organizzazione della vita economica e sociale contrassegnata spazialmente dai criteri dell'economia curtense, diretta derivazione dalla villa padronale con alcuni caratteri (ad es. le terre di uso comune) propri della primitiva marca germanica.


L'economia curtense

Quando si parla di economia curtense o signorile ci si riferisce, dal punto di vista geografico, ad una vasta area del continente europeo che ha come epicentri la Gallia settentrionale e la Germania renana, che rappresentano, nel Medioevo, i poli centrali di gravitazione economica e politica. [1962, B. H. Slicher van Bath]
Nell'organizzazione curtense [1917-1918, Henri Pirenne] la terra è divisa fra:
a) la "riserva dominica" coltivata ad esclusivo beneficio del signore sia da servi domestici che non hanno terra in concessione, sia da coloni obbligati a periodiche prestazioni lavorative gratuite (le corvées);
b) la "terra mansionaria" ripartita fra i coloni in unità di coltivazione (il manso) di estensione variabile secondo la qualità del suolo e la località, bastante al sostentamento di una famiglia.
Tali unità sono assegnate in possesso, dapprima vitalizio e poi ereditario, al colono e ai suoi discendenti, in cambio di prodotti in natura, di piccoli censi in denaro proveniente da coniazioni locali e, soprattutto, di prestazioni lavorative;
c) la "terra comune" composta da boschi, prati, fiumi, ecc. disponibile in godimento collettivo (libero o regolato) per i bisogni generali (caccia, pesca, legna, ecc.).


La coltivazione del suolo

0ltre a queste divisioni riguardanti i diritti di proprietà e di possesso, il suolo agricolo viene ripartito, per motivi tecnici, in due distinte porzioni:
- la terra coltivata
- la terra a maggese, cioè lasciata a riposo.
È questa la cosiddetta "rotazione biennale" in cui, alternativamente, metà del terreno disponibile viene seminata con cereali invernali mentre l'altra metà è lasciata a riposo.
Nella fascia centrale del continente, durante il periodo carolingio, a partire dalla seconda metà del secolo VIII, si inizia a praticare, forse sull'esempio delle primitive popolazioni germaniche, la "rotazione triennale" in cui il terreno viene diviso in tre parti:
- la prima è coltivata con un cereale invernale (frumento o segale);
- la seconda con un cereale primaverile (orzo o avena) o con leguminose (piselli, ceci, fave, ecc.);
- la terza è lasciata a maggese.

I vantaggi della rotazione triennale [1962, Lynn White jr] concernono:
l'incremento della produzione perché, a parità di resa, viene messa a coltura una porzione supplementare di terra;
la diversificazione della produzione e dei tempi del raccolto con conseguente minor pericolo di carestie derivanti da avverse condizioni stagionali;
il miglioramento del rendimento produttivo dei contadini in quanto il lavoro (aratura, semina, raccolto) è più uniformemente distribuito durante il corso dell'anno;
l'introduzione di nuove produzioni (ad es. avena) importanti per l'organizzazione agricola generale (foraggio per l'allevamento di cavalli usati come animali da tiro più veloci dei buoi) o per l'arricchimento del suolo connesso con la loro coltivazione (ad es. leguminose);
il miglioramento dell'alimentazione umana derivante da una dieta che associa carboidrati (prodotti dalla semina autunnale) con proteine vegetali (prodotte dalla semina primaverile).


Le innovazioni tecniche

L'introduzione dell'aratro pesante (a ruote e a versoio) sui terreni alluvionali dell'Europa centrale, permettendo una più profonda effettuazione del solco, porta ulteriori vantaggi in termini di:
risparmio di lavoro in quanto è resa superflua l'aratura incrociata dei campi;
miglioramento della resa del terreno in quanto vengono portati in superficie gli strati più ricchi di sostanze minerali.
A ciò si deve aggiungere che la maggiore produzione di foraggio animale provoca un aumento dei capi di bestiame, di cui viene regolato il pascolo libero convogliandolo sul terreno a maggese per un miglior sfruttamento dei residui organici.
Di modo che, questa più compiuta compenetrazione agricoltura-allevamento, derivante da un aumento di produzione (agricola e animale) genera ulteriori incrementi produttivi.
Inoltre, la diffusione del mulino ad acqua sfruttando come forza motrice l'energia idraulica, libera l'uomo e l'animale dal faticoso compito di girare la mola per la macina e li rende disponibili per altri impieghi produttivi.
Tutte queste innovazioni tecniche concorrono perciò a determinare:
crescita della produzione (agricola e animale);
miglioramento quantitativo e qualitativo dell'alimentazione umana con conseguente incremento demografico, dopo secoli di stagnazione.

Nel loro complesso, queste nuove pratiche agricole costituiscono i requisiti che permettono la formazione di un sovrappiù costante di prodotti e di lavoro. Tale sovrappiù, se per una certa parte va a vantaggio del ceto dipendente come miglioramento delle sue condizioni di esistenza, per l'altra, e in misura notevole, viene incamerato dal ceto dominante che sfrutta:
l'aumento di produttività del suolo e del lavoro da cui consegue un più elevato ricavo diretto (maggiore produzione sulla riserva dominica) e indiretto (maggiori contribuzioni in natura dalle terre mansionarie);
l'aumento delle prestazioni lavorative derivante sia dall'ampliamento del numero dei coloni (riduzione e frazionamento della superficie dei mansi a seguito dell'innalzamento del livello produttivo e di quello demografico) sia dal migliore impiego del tempo lavorativo reso disponibile dalle innovazioni tecniche.


La struttura sociale nel periodo Carolingio

La struttura sociale di tipo piramidale del periodo Carolingio è, come per il passato, in diretto rapporto con la proprietà della terra che permette e sancisce il dominio sugli uomini.
La società Carolingia è composta al vertice da:
a) l'Imperatore. L'originale tentativo unificatore dei Carolingi consiste nell'utilizzare la fitta trama delle strutture e dei rapporti di dipendenza formatasi nel corso dei secoli [1950, Roger Grand e Raymond Delatouche], per assolvere in maniera decentrata, a vantaggio del sovrano
- compiti militari
- funzioni giuridico-amministrative.
In cambio l'imperatore concede terre (strappate ai signori vinti) e privilegi, sia per indennizzare i costi sopportati (ad es. quelli connessi all'armamento, al mantenimento dei cavalli, ai lavoratori e ai giorni lavorativi persi durante i combattimenti, ecc.) sia per rinsaldare l'obbedienza e la sottomissione.
b) la Chiesa. Arricchitasi con le frequenti donazioni dl terre da parte dei signori, la Chiesa riveste un importantissimo ruolo temporale (prestigio, proprietà, potere). Presente nelle campagne (con gli abati e le loro vaste proprietà terriere) e nelle civitates (con i vescovi), avvalendosi di religiosi dotati di una cultura superiore alla media, tra di loro collegati per la reciproca assistenza, la Chiesa, in rapida ascesa a partire dal periodo tardo-romano, si afferma e penetra durante l'epoca medioevale in tutti i pori della società. Prova visibile di questa sua multiforme presenza è la figura del vescovo che, nelle superstiti civitates di origine romana (penisola italica e Gallia meridionale) assurge al rango di protettore militare, civile e religioso della vita fisica e spirituale della comunità.
c) i Signori. Vassalli dell'imperatore da cui ricevono il "beneficio" e a cui prestano obbedienza, i signori laici formano una schiera di proprietari di tenute la cui ampiezza e fertilità determina, come già detto, il loro grado di dominio sugli uomini e sulle cose. Essi risiedono in campagna, in dimore le cui fortificazioni sono destinate sempre più a moltiplicarsi per esigenze di difesa oltre che di controllo sicuro sui ceti dipendenti. Le loro occupazioni sono di ordine prevalentemente militare, a cui si associano lo svago della caccia e dei tornei cavallereschi, e gli obblighi rimunerativi dell'amministrazione civile (giustizia, fiscalità, ecc.).


La ripartizione del sovrappiù

Questa struttura dominante (Imperatore, Chiesa, Signori) sottomette a sé, attraverso il quasi-monopolio della terra, la massa produttrice formata da contadini-artigiani vincolati da una serie di legami di dipendenza [1950, Roger Grand e Raymond Delatouche] concernenti:
l'individuo: prestazioni lavorative (corvées) e militari, censi in natura e in denaro, imposte ordinarie (testatico) e straordinarie (taglie);
la famiglia: tassa sui matrimonio, divieto di contrarre matrimonio al di fuori della signoria (forismariagio) senza l'approvazione del padrone che non vuole perdere i futuri lavoratori rappresentati dai figli del colono;
i beni: trasmissione dei beni mobili al padrone dopo la morte del colono (manomorta);
la vita sociale: esazioni (bannalità) per l'uso di servizi di proprietà del signore (mulino, forno, frantoio, ecc.), tasse sulle attività di scambio, pedaggi per il transito;
la vita civile: imposizioni giudiziarie e ammende varie.
Attraverso questi vincoli si determina un passaggio del sovrappiù dal ceto produttore-dipendente al ceto consumatore-dominante.


I ceti sociali

Prima di analizzare le forme di consumo del sovrappiù, occorre completare la raffigurazione dei ceti che compongono la struttura sociale.
Infatti abbiamo ancora:
a) i contadini liberi, assai ridotti di numero ma non scomparsi [1957, Gino Luzzatto], dotati di piccoli appezzamenti di terreno che lavorano da soli o con l'aiuto dei propri familiari;
b) i mendicanti, per lo più popolazione eccedentaria rispetto alle capacità nutritive di un manso già saturo di persone e perciò costretti dalla situazione o a morire di fame o a vivere degli avanzi del ceto signorile (soprattutto di quello ecclesiastico);
c) i mercanti, categoria del tutto nuova di persone formate, almeno inizialmente, da avventurieri dediti al furto ed al saccheggio tra cui si annoverano signori spogliati delle loro terre e contadini in soprannumero. Riuniti in associazioni (ad es. le gilde al nord) viaggianti in carovane per difendersi dai briganti, essi hanno come punto di riferimento gli agglomerati dell'alto medioevo (le civitates, le dimore signorili) e inoltre contribuiscono, in special modo al centro e al nord dell'Europa, a dar vita ad ulteriori punti di riferimento (i vici, i portus) [1964, Fernand Vercaturen] per uomini e merci (soste, contrattazioni, depositi), località di vita effimera o duratura secondo il fluttuare delle vie commerciali. [1972, Edith Ennen]

Tutti questi gruppi sociali, ripartibili grosso modo in:
ceti dominanti (signori laici ed ecclesiastici)
ceti dipendenti (contadini, artigiani)
ceti intermedi (commercianti, mendicanti)
sono tra di loro interconnessi, oltre che per le differenti funzioni esercitate (consumo, produzione, commercio) anche per via di una serie di legami, precedentemente esaminati, attraverso i quali si attua una trasposizione del sovrappiù dal basso verso l'alto. In questa trasposizione, i ceti intermedi intervengono per la modifica nella composizione del sovrappiù (i mercanti) o per il consumo assistito di prodotti residuali del sovrappiù (i mendicanti).


L'impiego del sovrappiù

Il ceto dominante utilizza il sovrappiù (di lavoro e di prodotti) in varie maniere rispondenti alle esigenze e alla concezione di vita della società alto medioevale.
In linea generale le destinazioni concernono:
a) la lotta. La società alto medioevale è caratterizzata da una serie considerevole di lotte (ad es. quelle promosse dai Carolingi per la ricostituzione dell'Impero) e dall'alta considerazione legata alla pratica delle armi. Le spese militari rappresentano obblighi nei confronti dell'Imperatore e garanzie per la stabilità interno-esterna dei domini del signore.
b) l'assistenza sociale. Con la protezione e il mantenimento caritativo dei mendicanti e degli sbandati si ottiene, per altre vie, il risultato di favorire la stabilità sociale e di attenuare lo scontento. In sostanza, attraverso tale sbocco assistenziale, parte del sovrappiù estorto con le decime e con le prestazioni servili ritorna alla base della scala gerarchica, testimonianza di aspetti paternalistico-umanitari molto spesso connessi all'esercizio autoritario del potere.
c) le opere di costruzione. Le costruzioni effettuate nell'alto medioevo attraverso l'utilizzo delle corvées sono volte al soddisfacimento di esigenze di
- protezione militare (mura intorno alle civitates, castelli edificati sopra alture, dimore fortificate, ecc.);
- vita civile (strade, ponti, ecc.);
- vita economica (mulini; forni, frantoi, ecc.);
- vita religiosa (chiese, abbazie, ecc. fatte erigere talvolta dai signori per riscattare in punto di morte sopraffazioni commesse durante tutta una vita).
d) l'acquisto di beni di lusso. Il sovrappiù di beni agricoli incamerato dal signore, una volta scremata la parte che gli è necessaria per il consumo, unitamente alla quota di numerario assorbita attraverso i censi in denaro [1930, Alfons Dopsch], permette al signore di accedere, attraverso lo scambio, ai prodotti di lusso (spezie, broccati, gioielli, ecc.) provenienti dall'oriente.


La ripresa dei commerci

Il commercio, ridottosi notevolmente durante la travagliata fine del mondo romano, riprende a svilupparsi durante il periodo Carolingio. [1930, Alfons Dopsch]
Per cui, accanto ad una economia domestica in linea di massima autosufficiente, fa riscontro un commercio di prodotti di lusso per via mare sulle grandi distanze. Il verificarsi di questo fenomeno (commercio di beni di lusso) e il modo in cui si attua (per via mare) dipendono da:
i soggetti acquirenti. L'esistenza di un sovrappiù scambiabile nelle mani di un ceto signorile tendente per lo più ad un ampliamento diversificato del consumo, determina la natura dei prodotti oggetto di scambio e si concilia con gli interessi dei mercanti in quanto i beni di lusso risultano di agevole trasporto e di alta resa per unità.
la tecnologia dei trasporti. La mancanza di una efficiente ed estesa rete viaria di terra e il basso livello tecnico dei trasporti per via carro, rendono in generale più adatti (maggiore carico, maggiore velocità) e quindi più utilizzati i mezzi per via mare.

Questo commercio marittimo ha i suoi punti di massima concentrazione nelle località portuali collegate con l'interno da una fitta rete fluviale.
Abbiamo allora:
- al Sud, Venezia che, basate le sue fortune iniziali sulla vendita di sale, si avvale dei suoi legami politici con Costantinopoli per diventare fulcro di un traffico sempre più intenso che dall'Oriente porta merci rare nella Pianura Padana (Pavia) e oltre, attraverso il tracciato fluviale del Po e dei suoi affluenti;
- al Nord, i Frisoni che esercitano il loro commercio con i popoli semi-civilizzati dell'est e, attraverso le vie fluviali della Senna, della Mosa e del Reno, portano i loro prodotti (schiavi, sale, ceramica, ecc.) alla fiera di Saint-Denis di Parigi, a Colonia, a Magonza, a Worms, ricevendo come merce di scambio vino e cereali.

Questo traffico, per il modo in cui è condotto, in alcuni casi a metà strada fra il saccheggio e la truffa, contiene in sé effetti di disequilibrio economico macro-territoriale che denotano contrasti coinvolgenti il rapporto città-campagna.
Costantinopoli, ad esempio, sopravvive alla decadenza di Roma in quanto riesce a monopolizzare lo smistamento verso l'occidente di merci di lusso.
Infatti tali merci, prodotte nel Malabar (India), nelle Molucche, nelle isole della Sonda e in luoghi ancor più remoti, vengono prelevate, con scambi ineguali, esclusivamente da Costantinopoli (si fa divieto ai mercanti occidentali di rifornirsi direttamente sui luoghi di produzione) [1928-1929, Joseph M. Kulischer] e convogliate sul mercato per essere vendute con la mediazione del fisco imperiale che ricava da ciò introiti considerevoli (tasse sul commercio interno e sulle esportazioni).
Questo assoggettamento del produttore al mediatore (Costantinopoli) che altro non è se non sfruttamento delle campagne da parte della città, si ripropone in Occidente in quanto i mercanti, nella vendita dei prodotti, scremano ricchezze enormi provenienti dal ceto signorile ma estorte, in definitiva, al ceto dipendente.
Il mercante dunque si conquista una posizione di ricchezza attraverso il depauperamento indiretto del ceto produttore (contadini e artigiani).


Verso la rinascita urbana

Il quadro complessivo fin qui delineato permette di formulare, anche per il livello micro-territoriale, alcune considerazioni attinenti al rapporto campagna-città nell'alto medioevo durante il periodo Carolingio.
Le maggiori rese agricole, conseguenti a innovazioni nelle tecniche produttive, permettono la formazione, ancora limitata, di un sovrappiù pressoché costante nelle campagne.
L'appropriazione di tale sovrappiù è opera di una serie di centri, abitati da un ceto dominante già affermato (signori ed ecclesiastici) o in ascesa (mercanti).
Questi centri rappresentano agglomerati, più o meno densamente abitati, che incarnano le funzioni prioritarie svolte nell'epoca medioevale da questi ceti:
- la funzione militare (il castello)
- la funzione religiosa (la civitas)
- la funzione commerciale (il vicus).

La concentrazione sul territorio di queste funzioni [1972, Edith Ennen] prelude, con l'assommarsi di compiti produttivi (le corporazioni artigiane), alla formazione di quella che viene ad essere la città medioevale.
Già nell'alto medioevo, le civitates e le abbazie, i castelli e le dimore fortificate, i nuovi centri di commercio e di traffico, in sostanza tutti i luoghi vecchi e nuovi di vita associata rappresentano città in potenziale formazione, che mettono in atto rapporti di spoliazione nei confronti delle campagne che rappresentano la base su cui si fonda la rinascita urbana del nuovo millennio.


I rapporti di potere verso la fine del primo millennio

Il tentativo carolingio di unificare e regolamentare le popolazioni del continente dopo i sommovimenti migratori e le lotte dei secoli precedenti, sfocia in un nuovo periodo di migrazioni e di lotte e in un nuovo e più organico particolarismo.
Alla base del crollo della dinastia Carolingia e del prevalere del potere feudale sta il venir meno del "beneficio" come strumento per il mantenimento di una rete di vassalli obbedienti al sovrano.
Infatti, il passaggio delle terre e dei privilegi signorili dalla concessione ad personam alla ereditarietà, privilegio che i vassalli ottengono durante le lotte intestine dei Carolingi (877, Capitolare di Querzy), elimina il termine di scambio su cui si reggono gli obblighi di servizio verso il sovrano. Con ciò si rende di fatto superfluo il vertice della piramide (l'Imperatore) e si fa franare il fragile edificio imperiale.
Un secolo e mezzo più tardi, come ulteriore spinta al frazionamento, anche i vassalli minori (i valvassori) reclameranno e otterranno, nel regno italico, la ereditarietà dei loro feudi (1032, Constitutio de feudiis).


La società feudale

La società feudale nasce dunque dalle lotte interne tra i signori (Imperatore-Vassalli, Vassalli-Valvassori) a cui si aggiungono gli sconvolgimenti causati da popolazioni migranti dalle loro sedi originarie: da sud i Saraceni, da est gli Ungari, da nord i Normanni.
I Saraceni utilizzano le loro capacità marinare per compiere incursioni nell'Italia meridionale dove occupano la Sicilia, nelle coste Provenzali, e nella penisola Iberica dove si fissano stabilmente.
Gli Ungari, popolazioni nomadi in prevalenza dedite alla pastorizia, si spingono, ai primi del 900, nella Sassonia e poi nella Borgogna, compiendo razzie ed esigendo tributi.
I Normanni si servono delle vie di mare e dei tracciati fluviali per penetrare verso l'interno e effettuare saccheggi. Le loro incursioni spaziano in un raggio molto ampio dall'Atlantico al Mediterraneo, con stanziamenti nella Britannia e nella Francia settentrionale.

Le lotte, le invasioni e i saccheggi, si riflettono negativamente soprattutto sui contadini, il ceto più indifeso [1940, Marc Bloch], e sulla produzione agricola che è bottino prioritario in quanto permette la effettuazione e la continuazione dell'attività predatoria nel suo complesso.
Si assiste perciò al contrarsi della popolazione rurale [1962, B. H. Slicher van Bath] vittima delle incursioni, al ridursi della superficie coltivata e al conseguente calo della produzione agricola.
I contadini liberi affidano sé stessi e le loro terre al signore per ottenere protezione in cambio di sottomissione e di lavoro. Così facendo rendono onnicomprensivo il dominio signorile sulla terra ("nulle terre sans seigneur") e sugli uomini.
La società feudale, massima espressione di particolarismo signorile e di soggezione servile attraverso una compiuta cristallizzazione gerarchica, si realizza così pienamente verso la fine del primo millennio dopo che secoli di gestazione ne hanno modellato forme e modi di esistenza.


 

Riferimenti

[1892] Friedrich Engels, La marca, in, Sulle società pre-capitalistiche, Feltrinelli, Milano, 1974

[1917-1918] Henri Pirenne, Storia d'Europa dalle invasioni al XVI secolo, Sansoni, Firenze, 1967 (Libro III, Cap. IV. L'organizzazione economica e sociale)

[1928-1929] Joseph M. Kulischer, Storia economica del medioevo e dell'epoca moderna, Sansoni, Firenze, 1955 (Vol. 1. Il medioevo)

[1930] Alfons Dopsch, Economia naturale ed economia monetaria nella storia universale, Sansoni, Firenze, 1967

[1940] Marc Bloch, La società feudale, Einaudi, Torino, 1974

[1950] Roger Grand e Raymond Delatouche, Storia agraria del medioevo, il Saggiatore, Milano, 1968

[1957] Gino Luzzatto, Per una storia economica d'Italia, Laterza, Bari, 1974

[1962] B. H. Slicher van Bath, Storia agraria dell'Europa occidentale (500-1850), Einaudi, Torino, 1972

[1962] Lynn White jr, Tecnica e società nel medioevo, il Saggiatore, Milano, 1976

[1964] Fernand Vercaturen, La ville en Europe du IV au XI siècle, in Saggi in memoria di Gino Luzzatto, Giuffrè, Milano, 1964

[1967] Clifford T. Smith, Geografia storica d'Europa, Laterza, Bari, 1974 (Parte Seconda: Evoluzione dell'insediamento urbano e rurale)

[1972] Edith Ennen, Storia della città medioevale, Laterza, Bari, 1975

 


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